STORIA DEL DIALETTO TARANTINO / A UN PASSO DALLA SCOMPARSA

21.11.2013 09:15


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Taresia: - Pippì, vatìnne mò, attànete si stè òze d'ù suenne e maisije t'acchije aqquà.

Pippìne: - Gnorsì,mà; me ne vòche: t'agghje dìtte ce t'avè dìcere. 'U rèste fall' 'u tu.

 

Una prima osservazione di questi due versi, tratti da 'U nèje', commedia composta nel 1931 da Michele De Noto ('factotum' della cultura locale, essendo scrittore, glottologo, poeta ed autore di testi teatrali), mostra da subito come il linguaggio sia cambiato nel corso di un secolo, ovvero dalla scrittura di 'U matremònije dè Rosa Palanca'. Inoltre, facile risulta la comprensione ad un parlante attuale, anche a distanza di oltre ottant'anni.

Nel corso del Novecento, inizia a concretizzarsi un processo di sdialettizzazione già voluto all'indomani dell unità d'Italia (e di cui Alessandro Manzoni è fiero teorizzatore) e mirante a garantire stabilità culturale e politica. Perchè, come è noto, la lingua costituisce l'unico elemento unificatore di un paese di burro, autentico coacervo di storie, culture e idiomi differenti. Per questa ragione, soprattutto in sede scolastica, viene attuata una forte politica di mistificazione del dialetto, definito quale indice di degrado sociale e culturale. Niente di più sbagliato. Da qui prendono piede i repellenti pregiudizi di talune famiglie locali perbeniste, campioni di vigilanza e di finta erudizione, sempre solerti nel redarguire o perseguire la propria figliolanza, qualora questa proferisca un solo termine in 'tarandìne'.

Un significativo apporto a questo sradicamento culturale è dato altresì dai mezzi di comunicazione (radio, televisione e giornali), fattosi più pressante negli ultimi venti anni mediante la diffusione di un potente strumento, quale Internet, e la promozione di iniziative editoriali culturali italianofile. Lodevoli, ma al contempo sterili, talune opere di riqualificazione della nostra parlata, ma che nulla possono di fronte al potente incalzare dello standard toscano.

Il risultato di questa politica ha prodotto mostri. Tra i due Mari, difatti, si fa oramai uso di un italiano tarantinizzato, una varietà ibrida ed insipida (come testimoniato dall'immagine a lato), dovuta alla sovrapposizione della lingua di Dante a quella nostrana, snaturandone, pertanto, le peculiarità fonetiche e modificandone il lessico e la sintassi. Fa specie, oggidì, sentire un nostro concittadino (già nato negli anni Cinquanta) esprimersi in questo modo: Me stè scòppie 'a tèste, in luogo di un me stè sckàtte 'a càpe. Figurarsi poi i 'teenagers', che in età adulta reciteranno un 'requiem' per la lingua tarantina. Amen.

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