L'editoriale di Tst

Quando il calcio non è più un gioco

a cura di Matteo Schinaia

22.03.2017 23:22


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Lo stadio "Erasmo Iacovone" di TarantoAbbiamo assistito nelle scorse ore, inermi e amareggiati, all'ennesimo brutto capitolo della storia recente del Taranto. Circa trenta delinquenti, a volto coperto, hanno fatto irruzione all'interno dello Iacovone aggredendo, prima verbalmente e poi fisicamente, Maurantonio, Stendardo e Altobello.
Una violenza inaudita, una "spedizione punitiva" prefigurata chissà da quante ore, che ha trovato terreno fertile anche nell'ingenua "libertà d'azione" concessa da chi doveva monitorare il perimetro dello stadio.

Una Taranto che proprio non vuole esimersi da fare figuracce a livello nazionale: l'avvenimento di oggi è la semplificazione, estremizzata in negativo, dell'autolesionismo di cui soffre la nostra comunità.

Non si conoscono i motivi di questa vile aggressione - che ha portato anche al rinvio di Taranto - Paganese di domenica - anche se tra i tifosi ci sono ipotesi che non renderebbero onore ai tesserati coinvolti. Ma questa è un'altra storia, un vox populi che non trova conferme e che comunque non giustificherebbe lo schifo al quale abbiamo assistito e che è finito in pasto ai network nazionali e non solo.

La tifoseria rossoblu è passionale, si sa, ma estremamente corretta: l'errore più grande sarebbe infatti considerare questi individui come supporters ionici. Quello però che dobbiamo constatare, con amara consapevolezza, è che intorno a quella che un tempo era la squadra del cuore adesso c'è un clima di mal sopportazione. Ingiustificato. Il campionato di Lega Pro non è mai stato importante come quest'anno e il ritorno tra i professionisti era stato invocato a lungo nei quattro anni di purgatorio.

Certo, i risultati di un'intera stagione e le sconfitte sconcertanti contro Akragas e Messina, dirette concorrenti alla salvezza, non hanno fatto felice nessun tifoso rossoblu, ma la classifica parla ancora di un Taranto in piena corsa per la salvezza diretta, obiettivo prefissato ad agosto.

Mi duole scriverlo, perché ho difeso quasi a spada tratta, dall'inizio della stagione, l'operato di una dirigenza tanto amante della propria terra quanto inesperta nel mondo del calcio, ma quel comunicato a fine gara con toni quasi totalitaristici bene non ha fatto e ha lasciato la sensazione di un disagio interno mai presagibile fino a un paio di settimane prima.

I social, con brutalità scritte anche da chi meno te lo aspetti, in questo contesto fanno il resto.

Responsabilizziamoci, tutti quanti. E per una volta, cerchiamo di indossare l'abito buono o, in questo caso, la maglia di calcio rossoblù migliore.

E non dimentichiamoci neanche che il calcio è un gioco, o almeno così dovrebbe essere.

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