L'editoriale di Tst

Una generazione senza Taranto

a cura di Fabrizio Izzo

29.06.2017 09:05


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Immagine ZaccagniTaranto è la sedicesima città italiana come numero di abitanti ed è l’unica a non aver mai assaggiato le brezza del campionato di serie A, in una massima serie che ha visto esordire squadre appartenenti a città molto più piccole e probabilmente anche con una storia calcistica meno ricca. I rossoblu ionici mancano dal calcio importante dal lontano 13 giugno 1993, ultima gara di serie B giocata e vinta sul campo del Cesena. Una vittoria che non valse a nulla perché il Taranto di Donato Carelli, in quella stagione, retrocesse in serie C1 per poi fallire definitivamente, con grosse responsabilità della FIGC a quei tempi gestita da Matarrese, e ripartire dalla serie D. Quasi un quarto di secolo senza vedere la squadra del Taranto confrontarsi con le big, senza poter giocare negli stadi più importanti d’ Italia, praticamente una generazione che non ha avuto modo di innamorarsi dei colori sociali, il rosso come il cuore della gente e il blu come il colore del mare che abbraccia la città. Una generazione di ragazzi che non sa cosa è il Taranto e che conosce qualcosa solo grazie ai ricordi raccontati da chi ha provato le gioie delle gare viste,vissute e vinte allo stadio Salinella poi diventato Iacovone, il mito della tifoseria tarantina. Da quel lontano 1993, sulle rive dei due mari, il vero calcio è pressoché scomparso. In questi ultimi 24 anni il Taranto ha subito un secondo fallimento (giugno 2012), si sono succeduti ben 13 presidenti e un numero imprecisato di allenatori (molte decine), un sali e scendi dai dilettanti alla serie C1 (attuale Lega Pro) con numerose brucianti sconfitte tra Play-Off (Taranto Catania del 2002 su tutti) e Play-Out che hanno stoppato il Taranto sulla soglia della categoria superiore o ricacciato nella categoria inferiore, con il picco minimo nella stagione 97/98, decimo posto nel campionato dilettanti. 24 anni di calvario calcistico che i tifosi non meritano, il calore e la straordinaria partecipazione del pubblico dello Iacovone è degno di altri palcoscenici e non quelli dei dilettanti, senza togliere niente a nessuno. Le vicissitudini del Taranto rispecchiano un po’ l’andamento politico-sociale della città. Una città che oggi appare terribilmente indebolita, priva di idee, sfilacciata, incapace di una reazione forte che le possa permettere quello spunto per uscire da un tunnel che appare lungo e che non lascia intravedere luce, una città abbandonata anche dai suoi stessi abitanti che preferiscono disinteressarsi delle problematiche che l’attanagliano anziché affrontarle. Una popolazione che diventa asettica, indifferente anche nel momento in cui ha l’opportunità di cambiare attraverso la massima espressione della democrazia, il voto. Una similitudine cruda ma reale che caratterizza oggi il binomio calcio-società nella città dei due mari. La gestione societaria del Taranto è stata sempre troppo approssimativa, nei ranghi societari si sono molto spesso accomodati personaggi che hanno fatto poco per il calcio, le cui intenzioni erano più quelle di guadagnare che investire, cordate di uomini con poca esperienza calcistica composte da individui posti in essere da un puro clientelismo, denaro sprecato senza costrutto, uomini apparsi e scomparsi subito dopo senza lasciare traccia, i 21 presidenti negli ultimi 40 anni di storia del Taranto sono la dimostrazione chiara, lampante che l’ingranaggio non funziona. Un’imprenditoria avulsa, a differenza di altre città calcistiche, che non ha quasi mai supportato adeguatamente il calcio tarantino, sempre pronta nelle pretese e molto meno nell’offrire appoggio. Sono pochi i presidenti e le società che possono essere ricordati come coloro che hanno dato qualcosa al Taranto, troppo pochi, da contarli sulle dita di una sola mano. Ad ogni inizio stagione è sempre mancato qualcosa da un punto di vista gestionale o tecnico, non c’e stata mai una partenza che potesse far pensare in positivo. È anche vero che il Taranto è stato maledettamente sfortunato, una numero esagerato di Play-Off persi che però evidenziano anche delle lacune che probabilmente gli avversari non hanno mostrato e non avevano. È ora di smetterla di prendere in giro i tifosi e tutti coloro che abitano lo Iacovone, chi deve andare vada via lontano e lasci il posto a gente competente, a gente che ha voglia di fare calcio in una città che aspetta da decenni lo spettacolo di una partita che conta. Gestire il Taranto non deve servire solo a gonfiare il petto prendendosi gli onori, mostrarsi quasi salvatori della patria per quello che si è fatto, si facessero da parte tutti i ciarlatani e lasciassero il posto a chi con i fatti può far risorgere i rossoblu. L’ultima stagione in Lega Pro è stata una farsa, l’incompetenza e l’approssimazione sono state cicloniche, una stampa troppo indecisa spesso condizionata dal favoritismo, la mancanza di un coordinatore tra la tifoseria e la società che potesse trasmettere gli umori della gente e integrarli nei piani societari (nei limiti delle possibilità), il ritorno tra i professionisti doveva essere il punto di partenza e invece è stato il contrario. Bisogna cambiare, organigramma completo e fatto di persone competenti ognuno con un know-how indiscusso, niente clientelismo, meritocrazia, dialogare con gli imprenditori e prospettare loro piani gestionali adeguati, progettualità tecnica e amministrativa, allenatori e giocatori di livello e non gente fisicamente non in perfette condizioni proposta da procuratori affaristi, rapporti con la stampa e diffusione delle informazioni limpidi, rapporti con l’amministrazione comunale costruttivi e magari altro ancora, insomma tutto ciò che a Taranto non si è mai visto. Il Taranto ha perso una generazione, recuperiamola.

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