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Un pezzo di storia del Taranto: Giovanni Sgarbossa

a cura di Massimiliano Fina

25.12.2017 20:14


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Abbiamo intervistato l’ex centrocampista del Taranto degli anni ’80 Giovanni Sgarbossa, nato a San Martino di Lupari il 10 Febbraio 1954. Cresciuto nell’Olimpia Cittadella, nel 1973 debutta con il Trento. Dal 1978 al 1980 gioca prima in Serie B e poi in A con l’Udinese. Nel 1980 passa al Foggia in B, poi nel 1981-82 scende di categoria per indossare la maglia del Padova in Serie C1. Dal 1982 al 1985 gioca per il Taranto con cui colleziona 104 presenze e realizza 2 gol.

-Chi è oggi Giovanni Sgarbossa e cosa fa nella vita?
-Sono stato un imprenditore fino a qualche anno fa, insieme a un mio socio che è venuto a mancare e adesso lavoro come dipendente in un’azienda di arredamento.

-Quanto si sente cambiato? E le manca il calcio?

-In questo momento il calcio non mi manca, però ora la mia vita è cambiata, diciamo è la vita di una persona normale, anche se trovo gente che mi riconosce e alla fine parliamo sempre di calcio.

-Cosa è il calcio e in questo ambito cosa è la notorietà o la ricchezza?

-Il calcio è stata la mia vita, da giovane volevo giocare a pallone e sono riuscito ad arrivare in Serie A, a parte le varie categorie fatte tutte quante. La notorietà è bella, però è molto impegnativa perché non puoi più vivere da normale.

-Si ricorda più spesso l’esordio in serie A o l’addio al calcio?

-Mi ricordo più l’esordio in Serie A a Napoli davanti a 50 mila persone e tra i momenti più belli, quando ho vinto il campionato di Serie B con l’Udinese.

-Se ripensa ai suoi compagni, al giudizio che loro avevano di lei, chi la colpisce di più?
-“L’allenatore Giacomini quando stavo a Udine diceva che con me poteva stare tranquillo perché mi poteva far giocare dove capitava e rendevo ugualmente”.

-Chi è il giocatore a cui si è ispirato? E l’idolo da ragazzino?

-Quando giocavo io Benetti e Furino. L’idolo è Rivera.

-Chi è stato il compagno di squadra più forte con cui ha giocato? E l’avversario incontrato?

-L’avversario sicuramente è stato Beccalossi dell’Inter, era difficile da marcare. I compagni più bravi: Damonti a Trento, Vagheggi, Ulivieri, Del Neri, Tesser.

-Nell’enciclopedia dei Comuni, nella scheda del suo paese di origine San Martino di Lupari il suo nome è scritto tra i personaggi famosi, come sente questa responsabilità?

-Mi fa molto piacere esserci e vuol dire che ho lasciato un’impronta.

-Nel 1985 viene prima indagato e poi condannato a 5 anni di squalifica in seguito all’illecito sportivo nel “Caso Padova” che di fatto mette fine alla sua carriera. Ecco, se n’è parlato molto, ma come fu la storia realmente?
-“Ci fu un complotto: mi contattarono i dirigenti del Padova, c’era di mezzo Becchetti, l’allenatore che il Taranto aveva lasciato a casa, il Cagliari e il Catania e lì è stata una bella truffa. Io ho pagato perché ero il capro espiatorio, però l’avevano organizzata proprio bene. Quando fai un illecito così non ti puoi difendere, perché non sei nessuno, nel calcio sei una pedina che se la devono girare gli attori. Quando ci penso ho un po’ di magone perché ho pagato e quando poi sono andato a difendermi non mi hanno creduto.  Per fortuna per strada non mi hanno identificato come un traditore, ma hanno capito che ero in buona fede. E quando gli altri mi chiedono perché non fai l’allenatore? Perché non mi piace, pensa te che a Udine mi davano il cartellino gratis per poter allenare e Coverciano ancora non esisteva. A me è sempre piaciuto giocare”.

-Perché malgrado tutto ha scelto di rimanere a Taranto?

-Mi sono sposato qui, la città di Taranto mi piace, la gente è brava e poi c’è il mare.

-Quale è il suo posto nella storia del calcio tarantino?

-Penso di aver dato il mio contributo nei tre anni passati qui, infatti ancora oggi molti si ricordano di me.

-Quale è stato il momento più bello con la maglia del Taranto? E quello più particolare?

-La vittoria del Campionato di Serie C sicuramente il più bello e poi ogni partita in sé e per sé aveva la sua storia, come quando giocammo con la Salernitana che ci tirarono i frigoriferi in campo.

-La formazione del Taranto più forte con lei in campo?

-Il primo campionato di serie C 1982-83, anche se con 46 punti non vincemmo il campionato mentre l’anno dopo con 42 salimmo in B.

-E il gol più bello che ha segnato?

-A Reggio Calabria col Taranto quando vincemmo 0-2.

-Nel calcio tarantino comandano i tifosi? E cosa ne pensa?

-Si ed è sbagliato, se non c’è società non puoi far calcio. I tifosi pretendono un po’ troppo, perché per fare una squadra ci vogliono prima di tutto i soldi, se non ci sono non puoi avere giocatori validi. Ci vuole tempo per costruire una rosa competitiva, bisogna aiutare la squadra e questo i tifosi non lo fanno.

-Dal Calcio che ha giocato al calcio di oggi cosa cambia?

-Gli elementi che fanno la differenza sono i soldi, oggi c’è un calcio più veloce con allenamenti diversi che prima non si facevano.

-C’è una squadra a cui è legato particolarmente?

-Il Milan perché quando ero piccolo, mio cugino che giocava nella Cittadellese come mezzala era soprannominato “Rivera” per via dei suoi capelli. E la cosa bella è che quando ci ho giocato contro non ho mai perso né con l’Udinese (0-0 e 2-1) né con il Foggia (1-1 e 1-0).

 

 

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