LA STORIA DELLE CHIESE DI TARANTO: CUORE IMMACOLATO DI MARIA, LA CHIESA CON I BUCHI

17.06.2014 14:15


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di Aldo Simonetti

Nell’immediato dopoguerra, è in atto una rapida espansione urbanistica a est del Borgo. Frattanto, via Cesare Battisti (precedentemente denominata Strada per San Giorgio) diviene l'emblema di una città in continua evoluzione. Ai fianchi della lunga arteria, concepita ‘ab origine’ come debutto del tracciato che conduce a Lecce, prende subitaneamente forma una congerie di palazzoni variopinti, i cui occhi rivolti al mondo sono coperti da imposte, persiane ed avvolgibili preistorici. Già in sul calar degli anni Cinquanta, pressappoco tutto lo stradone è accarezzato da edifici abitativi. L’esplosivo incremento demografico e il ‘boom’ edilizio in zona implicano la forte necessità di un luogo di culto più accessibile ai nuovi residenti, costretti a seguire le sacre funzioni presso le distanti – nonché anguste - chiese del Sacro Cuore e di Santa Teresa, erette nei primi anni Trenta.

Pertanto, al fine di far fronte all’urgente richiesta della comunità in questione, si appronta in un batter d’occhio una sala parrocchiale dedicata al Cuore Immacolato di Maria. Preso in fitto un ampio locale, ubicato tra le vie Cesare Battisti e Scira (laddove è oggi collocata una nota profumeria), vengono al suo interno istituite una cappella, una sala per l’Azione Cattolica e persino la casa parrocchiale; il tutto, in un fazzoletto di poco meno di 200 metri quadri. E’ il 7 dicembre del 1956, allorquando, tra manifestazioni di giubilo, preghiere ed inevitabili pestoni –a cagione dell’ambiente ristretto-, il tempio è bello e inaugurato nonchè affidato alle cure di Don Biagio Notarangelo, giovane sacerdote nativo di Manfredonia.

Trattasi, comprensibilmente, di soluzione momentanea. Già un paio di anni più tardi, difatti, a seguito di un attento studio, viene individuata e selezionata un’ampia area allo stato grezzo, sita nei pressi della nascente via Plateja e a pochi passi dal sopraccitato salone. Stilato dalla matita dell’architetto tarantino Michele Giannico, l’originale progetto per la nuova chiesa, più capace (secondo le reali intenzioni della Curia, la più vasta della Città Nuova dopo quella di Sant’Antonio) e confacente all’operosa comunità parrocchiale, è presto concretizzato: il 10 ottobre del ’61 si procede alla benedizione della prima pietra. Più lungo del previsto, tuttavia, il suo ‘work in progress’: soltanto nel dicembre del 1965, infatti, l’opera è portata a termine, benchè difetti di ufficio e canonica, aggiunti soltanto un biennio più avanti. Il 25 giugno del 1966, impartita la solenne formula, Monsignor Guglielmo Motolese dà il ‘placet’ per l’avvio ufficiale delle funzioni all'interno della struttura.

Nota anche come “Chiesa buchi buchi”, per via della caratteristica configurazione esterna, funge altresì da spartiacque tra i rioni Tre Carrare-Battisti e Solito Corvisea.

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