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Covid-19: non si guarisce del tutto, ecco i sintomi che (a volte) restano nel corpo di chi si ammala

Anche le infezioni più lievi da coronavirus possono lasciare spiacevoli conseguenze per mesi. I pazienti affetti da «Long Covid» sarebbero fino al 10 per cento dei positivi. Solitamente hanno tra i 40 e i 60 anni

09.10.2020 23:10


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Ammalarsi di Covid-19 anche in modo lieve può causare problemi per mesi. La sindrome che viene chiamata “Post Covid” o “Long Covid” continua a essere sottovalutata nei dibattiti in prima serata, ma colpisce ormai moltissime persone, si pensa fino al 10 per cento di chi è stato contagiato dal coronavirus. Sono soggetti ufficialmente guariti e negativi al tampone che però hanno sintomi persistenti e disturbi che durano da più di tre mesi, principalmente stanchezza, debolezza, fiato corto, eritemi, perdita di memoria, ansia e dolori muscolari, problemi che rendono loro impossibile tornare a stare bene come prima.

 

Lo studio francese

L’ultimo studio scientifico in ordine di tempo su questa “sindrome” viene dai ricercatori francesi del Tours University Hospital che hanno seguito 150 pazienti non critici da marzo a giugno. Due terzi hanno riportato sintomi fino a 60 giorni dopo essersi ammalati e più di un terzo si sentiva ancora male o era addirittura in condizioni peggiori rispetto a quando era iniziata l’infezione. La ricerca, pubblicata lunedì 5 ottobre sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, si è concentrata su pazienti che avevano avuto una malattia di lieve o moderata entità, proprio perché gli altri studi su questo tema a livello internazionale finora avevano monitorato persone reduci da ricoveri in ospedale (per malattia moderata o seria) o in terapia intensiva. I sintomi descritti erano principalmente: perdita dell’olfatto e del gusto, mancanza di respiro e affaticamento ed erano più probabili in pazienti di età compresa tra i 40 e 60 anni e in chi avesse avuto bisogno di ricovero.
A luglio uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention Usa (CDC) aveva mostrato che il 35% dei pazienti Covid-19 non era tornato al consueto stato di salute due o tre settimane dopo il tampone negativo che ne aveva decretato la guarigione. I più colpiti erano persone con malattie croniche, ma quasi 1 su 5 tra giovani adulti di età compresa tra 18 e 34 anni (senza patologie preesistenti) ha riferito di non essere tornato al normale stato di salute (da 14 a 21 giorni dopo il test).

 

 

 

Gruppo Facebook in Italia

Quale percentuale di ex malati è affetta da sintomi a lungo termine al mondo? Non lo sappiamo con certezza, ma diverse ricerche hanno suggerito che potrebbero essere circa il 10% del totale degli infettati. Anche fosse solo una frazione, con 36 milioni di positivi al mondo, il bilancio sui sistemi sanitari e per la vita (anche lavorativa) delle persone è enorme. Il Corriere si era occupato dell’argomento con un articolo pubblicato ad agosto: in Italia Morena Colombi ha fondato un gruppo di auto-aiuto su Facebook che si chiama “Noi che abbiamo sconfitto il Covid” e raccoglie le storie di chi è ufficialmente guarito, ma sta male da mesi. «Le adesioni sono arrivate e in breve tempo mi sono accorta che tutti, chi più chi meno, abbiamo gli stessi malesseri. Molte volte ci liquidano come depressi o ipocondriaci. I nostri problemi invece sono reali, ma nessuno sembra volerci dar credito», aveva raccontato Morena. Lo scopo del gruppo è anche quello di far riconoscere una “sindrome Post Covid”, come si sta facendo in altri Paesi, per avere il rimborso delle spese sanitarie effettuate e centri a cui rivolgersi.

 

Centri specializzati

A New York, ad esempio, è stato aperto un centro per l’assistenza post-Covid al Mount Sinai: la domanda è aumentata a tal punto che il Centro sta assumendo più personale per smaltire gli appuntamenti richiesti. Da quando è stato aperto (quattro mesi fa nella sede di Union Square), il centro ha accolto circa 550 pazienti. Anche in Gran Bretagna si sta creando una rete di cliniche “Long Covid” dove i pazienti riceveranno una valutazione fisica per identificare eventuali problemi di salute cronici e una valutazione cognitiva per eventuali problemi di memoria, attenzione e concentrazione. Ci sarà anche un profilo psicologico. Il National Institute for Health Research sta supervisionando uno studio che include 10mila pazienti Long Covid.

 

In Italia follow up dagli ospedali

In Italia sono gli ospedali ad occuparsi in alcuni casi di richiamare i pazienti a distanza di alcune settimane dopo le dimissioni. Solitamente, però, i monitoraggi riguardano persone che nella precedente ondata erano casi da moderati a gravi, ma, come detto, i postumi possono riguardare qualsiasi tipo di infezione. «Abbiamo richiamato le persone dimesse dai reparti a circa due mesi dall’insorgenza dei sintomi – ci spiegava Francesco Landi, primario di Medicina fisica e riabilitazione e responsabile del day hospital post Covid e autore di uno dei primi studi al mondo sul Post Covid pubblicato su Jama all’inizio di luglio dal team della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma - . Andando ad indagare con vari specialisti ed esami, ci siamo resi contro che questi soggetti a distanza anche di due mesi dall’esordio della malattia continuavano ad avere sintomi, in particolare affaticamento, fiato corto, dolori articolari o al petto, tosse, mal di testa. Quello che possiamo dire è che non riscontriamo danni agli organi e che probabilmente questi disturbi andranno a scomparire. Siamo ottimisti».
Anche presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo c’è un ambulatorio post Covid: «Il nostro follow up ha riguardato 800 pazienti sui 2.200 dimessi (ad agosto, ndr) - osservava Fabiano Di Marco, Direttore della pneumologia presso l’ospedale - : i sintomi più frequenti sono sicuramente la mancanza di forze e di fiato. Le conseguenze sono comunque meno gravi di quanto ci aspettassimo. La patologia non progredisce e migliora con il passare del tempo. Quasi sempre ci sono cicatrici nei polmoni, ma abbiamo visto che non ne pregiudicano il funzionamento. Le cicatrici dell’anima, invece, sono più marcate».

 

Si perde la memoria recente

Moltissimi lamentano la perdita di memoria a breve termine: non riescono a concentrarsi, dimenticano dettagli della giornata appena successi e sul lavoro il rendimento non è più lo stesso. «A volte le infezioni virali che durano tanto portano a una diminuzione di prestazioni del sistema nervoso centrale. Ecco spiegata la perdita di attenzione che genera, come primo effetto, una diminuzione consistente della capacità di memorizzare di tanti eventi della vita quotidiana – spiegava al Corriere Giancarlo Cerveri, conosciuto come lo “psichiatra di Codogno”, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Socio Sanitaria di Lodi -. Dato che non ci sono studi sistematici sul post Covid, possiamo basarci solo su altre forme virali per le quali possiamo dire che, nell’arco di alcuni mesi, i sintomi residui vanno incontro a regressione spontanea».

 

Succedeva anche con Ebola, SARS e MERS

Una caratteristica (i sintomi post-infezione) che accomuna quindi altre forme virali: Craig Spencer, direttore del Global Health in Emergency Medicine presso il New York-Presbyterian / Columbia University Medical Center, a settembre ha raccontato al Washington Post di avere avuto problemi analoghi dopo essersi ammalato di Ebola: «Nel 2014 mi sono ammalato di Ebola in Guinea. Ho trascorso 19 giorni in ospedale e alla fine sono sopravvissuto, ma per mesi ho avuto dolori articolari e muscolari. Camminare mi faceva male. I capelli sono caduti a mazzi. Poi qualcosa è migliorato, ma non tutto. A quasi sei anni dalla “guarigione”, continuo ad avere difficoltà a concentrarmi. La mia capacità di ricordare è drasticamente ridotta. Dimentico nomi e dettagli di persone che conoscevo molto, molto bene». Lui stesso scrive che disturbi simili, soprattutto la fatica persistente, la “nebbia nel cervello”, il sentirsi meglio alcuni giorni e peggio altri, più vari problemi cardiaci, respiratori e neurologici, sono conseguenze a lungo termine osservate anche dopo i virus cugini del coronavirus: la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS). In uno studio sui sopravvissuti alla SARS , il 24% aveva una capacità di esercizio e uno stato di salute notevolmente ridotti rispetto alla popolazione generale a 12 mesi dall’insorgenza della malattia. Un altro studio ha dimostrato che due anni dopo l’esordio della SARS, oltre il 50% dei sopravvissuti presentava una compromissione nei test di funzionalità polmonare e “la loro capacità di esercizio e lo stato di salute erano notevolmente inferiori a quelli della popolazione generale”. «Anche se c’è ancora molto da scoprire sul Long Covid- conclude Spencer - sappiamo che è reale, che il prezzo è enorme, che affrontarlo è scoraggiante».

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